MONDO FUMAROLA
Mondo Fumarola è una iniziativa di Giampaolo Schillaci e di Giuseppe Re.
Il devastante denomeno delle “fumarole” deve cessare. Chiamiamo a collaborare attivamente chiunque a qualsiasi titolo abbia a cuore la salute delle persone e dell’ambiente. Ricercatori, Professionisti, Tecnici e gli stessi Operatori del settore. Il comparto della Serricoltura è stato protagonista della Storia del Sud Est della Sicilia, si schieri compatto contro una pratica nefasta che offende l’intero territorio della “Fascia Trasformata”.
Perché Mondo Fumarola
I danni alla salute e all’ambiente connessi alla combustione illegale delle materie plastiche utilizzati negli apprestamenti protetti sono ben noti.
Anziché ridursi con il tempo e con quella che dovrebbe essere l’accresciuta consapevolezza degli operatori del settore, questa pratica così nociva sembra espandersi di pari passo con il continuo ampliamento delle aree occupate da agricoltura protetta, e ciò a dispetto delle continue lamentazioni sulla crisi dei relativi mercati e sulle concorrenze presunte scorrette degli altri Paesi produttori.
Nelle aree turistiche il fenomeno è ancora più grave, perché non è in alcun modo ammissibile che quella serricoltura irresponsabilmente portata avanti con sistemi illegali debba mettersi in contrasto con il turismo nazionale e internazionale con il quale ormai molte famiglie in quei comprensori si sostengono.
Mondo Fumarola intende contribuire allo studio del fenomeno, alla sensibilizzazione sia dei cittadini sui danni sulla salute, sull’ambiente e sull’economia che essi subiscono, sia degli operatori sulla necessità di cambiare rotta. Ma anche al reperimento delle soluzioni tecnologiche e organizzative, coinvolgendo, si auspica, ricercatori, studiosi, professionisti e operatori, alcuni dei quali già molto avanti nella ricerca di soluzioni possibili nel campo dello smaltimento corretto dei materiali plastici impiegati in agricoltura, una scommessa che non può essere perduta pena danni che possono essere irreversibili alla salute, all’ambiente, all’economia basata sul turismo.
1958 Nasce la serra in plastica
Correva l’anno 1958 quando nella contrada costiera chiamata Pezza Filippa, nel territorio di Scicli, fu utilizzata per la prima volta la plastica per la protezione delle colture precoci. L’esperimento fu subito riportato e razionalizzato a Vittoria, dove in pochi anni si diffuse generando ricchezza mai vista prima. È facile ipotizzare che sin da subito i teli di plastica, giunti a fine vita, venissero smaltiti per abbandono nel territorio o per combustione. Ancora oggi emergono grandi cumuli sepolti dalla sabbia dei Macconi di Gela e di Acate, e purtroppo non soltanto in quei luoghi; mentre, nelle menti dei meno giovani di quegli stessi luoghi affiora indimenticabile il ricordo del puzzo della plastica bruciata che appestava le notti e le albe. In definitiva, si può affermare senza tema di errore che insieme al glorioso mondo delle serre nacque la fumarola, quel fenomeno insopportabile e pericolosissimo che proviene dalla combustione di sostanze plastiche e che ammorba l’intera fascia trasformata.
La fascia trasformata.
Viene definita “fascia trasformata” quella fascia di territorio per lo più costiero e retro costiero coperto da serre che corre da Gela fino a Pachino, coinvolgendo in varia misura i comuni di Acate, Vittoria, Santa Croce Camerina, Ragusa, Scicli, Ispica, Pachino, Portopalo e che probabilmente per difetto oggi si può ritenere estesa 8000 ettari.
Le fumarole.
Negli ultimi decenni in tutta la fascia trasformata, con punte molto intense nel comune di Vittoriavittoriese, in un periodo che va da maggio a luglio, ma che tende ad estendersi sempre più, persino le abitazioni con finestre chiuse possono riempirsi di sgradevolissimo e pericolosissimo fumo proveniente dalla combustione delle materie plastiche di provenienza agricola. Fumo, insomma, provocato dalle fumarole.
I veleni della combustione di plastiche e fitofarmaci.
Bruciare materiale plastico produce diossine e idrocarburi policiclici aromatici. Le conseguenze sono devastanti, le diossine (in realtà si conoscono 210 tipi diversi di composti simili per caratteristiche e tossicità, tra diossine – 73 tipi – e furani) sono formate da idrocarburi aromatici legati ad atomi di cloro. Sono molecole molto tossiche per l’uomo, gli animali, l’ambiente. Questi elementi nelle fumarole solitamente non si ritrovano come composti singoli, ma all’interno di miscele dove sono presenti molte decine di idrocarburi policiclici aromatici – IPA – diversi e in proporzioni che in alcuni casi possono anche variare di molto. Il fatto che l’esposizione avvenga ad una miscela di composti, di composizione non costante, rende difficile l’attribuzione delle conseguenze sulla salute alla presenza di uno specifico idrocarburo policiclico aromatico. Quando a bruciare sono anche i contenitori dei fitofarmaci, i danni alla salute all’ambiente si moltiplicano.
Danni su persone e animali.
Si tratta di contaminanti ambientali persistenti e con la spiacevole caratteristica di bioaccumularsi, ovvero accumularsi nei tessuti delle persone e degli animali.
Negli anni, le conseguenze dell’accumulo nei tessuti e negli organi possono diventare causa:
- di un’ampia gamma di tumori,
- di alterazioni del sistema immunitario,
- di danni allo sviluppo fetale,
- di disturbi alla produzione, rilascio, trasporto, metabolizzazione, legame, azione o eliminazione di ormoni naturali del corpo, responsabili dell’equilibrio biochimico dinamico interno del nostro organismo e della regolazione dei processi riproduttivi e di sviluppo.
Appare indubbia la correlazione fra l’esposizione alle miscele IPA e l’aumento dell’insorgenza del cancro.
Cosa viene bruciato.
Oltre ai residui finali di vegetazione di colture ortive sotto serra, nelle campagne vengono bruciati:
- fili di sostegno delle coltivazioni
- fascette e clips per il fissaggio ai fili
- teli per la pacciamatura
- sacchi di fertilizzanti
- contenitori per “fuori suolo”
- tiranti
- tubazioni per 1’irrigazione (manichette)
- reti (antigrandine o ombreggianti)
- contenitori in polistirolo (piantine)
- materiali da imballaggio vari
- reggette
- contenitori di fitofarmaci
- teli per la copertura
I teli in plastica bianca per la copertura sono, probabilmente, i meno indiziati, perché lo smaltimento mediante consegna a ditte autorizzate è pratica consolidata e diffusa, proprio perché ci sarebbe dietro il business del riciclo. Mentre, differente è la questione che attiene ai teli neri, pacciamanti, molto più complessi e costosi da trattare. Come si vedrà, manichette e miniplastiche, intendendo con questo termine fili, ganci, reggette, rappresenterebbero, in questa prima indagine, i pezzi che più facilmente si ritrovano nei roghi. Insieme, purtroppo, ai contenitori in polistirolo delle piantine e quelli dei fitofarmaci.
Quanto viene bruciato.
Miniplastiche. Nell’orticoltura in serra si stima che a fine ciclo in si producono circa 2 kg per metro quadrato di residuo secco di vegetazione; ne risulta che in 1 ettaro di serre (10.000 m2) si hanno circa 20.000 kg di residui di vegetazione (20 tonnellate ad ettaro). Poiché possiamo stimare che circa lo 0,3% di questo materiale, ovvero 60 kg ad ettaro, non è vegetale, bensì spago in polipropilene e gancetti in materiale plastico.
Con riferimento agli 8.000 ettari (misura sottostimata) delle serre dell’intera fascia trasformata i residui di vegetazione ammontano a 160.000 tonnellate e le miniplastiche , termine con il quale vogliamo indicare i fili, i gancetti e altre piccole componenti, diventano 480 tonnellate.
Ma non basta, perché quelle che abbiamo chiamato miniplastiche non bruciano da sole. Vanno in fumo una percentuale al momento non quantificabile di altri materiali, quali i teli neri di pacciamatura, di vassoi di piantine (semenzali), contenitori di fitofarmaci (con parte del loro contenuto) e chissà di cosa altro.
Soluzioni … di campo.
Gli incendi di materiali plastici sono pericolosissimi per le persone e per l’ambiente, eppure c’è altro, non meno insidioso, anzi, di più, perché non si vede e non si sente. Oltre alla esecrabile combustione, l’altra “soluzione” è quella di triturare finemente i residui della vegetazione comprensivi di spago in polipropilene e gancetti, rimescolandoli poi al terreno. Le plastiche ridotte in piccole particelle inquinano irrimediabilmente i terreni e finiscono nel ciclo delle acque e dello stesso cibo di cui ci nutriamo. In certi altri casi, ancora, i residui degli ortaggi vengono trasportati in terreni abbandonati, in cave, letti di fiumi, per poi ritrovarli bruciati o trasportati sin anche a mare.
Lo smaltimento regolare.
Quali soluzioni disponibili agli agricoltori per smaltire queste 160.000 tonnellate di residuo secco di vegetazione?
Possono essere stipulati contratti con ditte specializzate, contratti che hanno un costo di circa 2000 €, al quale va aggiunto il costo per ogni singolo camion di residui, che mediamente si aggira intorno ai 1000 € per ettaro (varia in funzione del grado di umidità e del volume). Di sicuro, si può dire che chi decide di operare in questo modo affronta un costo non indifferente. Non è detto però che così facendo il problema del corretto smaltimento viene risolto. Infatti, non solo bisogna chiedersi dove finiscono i residui cosi smaltiti, ma soprattutto cosa succede alle 480 tonnellate di plastiche che vi sono aggrovigliate in maniera inestricabile.
Altri aspetti non rassicuranti riguardano i teli neri di pacciamatura, il cui recupero è costoso per gli inquinamenti di terriccio e altro cui sono soggetti.
Migliori notizie riguardano i teli di copertura delle serre, poiché i contratti con ditte specializzate sembrano funzionare “abbastanza”; in altri termini, e per quanto se ne sa, una elevata percentuale di queste plastiche vengono regolarmente ritirate, per essere trasformate in altri prodotti.
Anche i contenitori di fitofarmaci, infine, dovrebbero seguire una trafila destinata ad abbatterne la pericolosità e favorirne il recupero; ma per i costi e per altri fenomeni, come quelli legati agli acquisti in nero, volumi presumibilmente consistenti di essi viene smaltita irregolarmente, mediante seppellimento o combustione.
Nel complesso, lo smaltimento delle plastiche utilizzate nelle serre mediterranee, come vengono chiamate le serre con coperture in plastica, appare strutturalmente incompleto e difficilmente
Bruciare plastica è un reato
Il reato di “getto pericoloso di cose” [Art. 674 cod. penale] si configura anche quando si provocano emissioni di gas, vapori o fumo (nei casi non consentiti dalla legge) atti a offendere, imbrattare o molestare persone. Quest’ultimo è il caso di chi bruci plastica creando cattivo odore e, soprattutto, inquinando l’aria e rendendola nociva per i vicini. La pena prevista è quella dell’arresto fino ad un mese o dell’ammenda fino ad euro 206.
La combustione illecita di rifiuti [Art. 256 bis D.lgs. n. 152 del 03.04.2006] è un reato previsto dal codice dell’ambiente (introdotto nel nostro ordinamento nel 2006) ed è più grave del getto pericoloso di cose. Prevede la punizione per chiunque appicchi il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata o appicchi il fuoco a rifiuti pericolosi. Nel primo caso la pena prevista è della reclusione da due a cinque anni; nel secondo, invece, da tre a sei anni. In certi casi la pena può essere più alta. A seguito di condanna, l’area sulla quale è commesso il reato (se di proprietà dell’autore del reato) sarà confiscata e sarà imposto l’obbligo di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi. Se un soggetto brucia rifiuti di plastica abbandonati o depositati in maniera incontrollata, anziché smaltirli in maniera lecita, può essere denunciato e subirà un procedimento penale per il suo comportamento illecito e nocivo.
Non ci occupiamo qui del gravissimo reato di inquinamento ambientale [Art. 452 bis cod. pen.], che consiste nella abusiva compromissione o deterioramento ambientale significativo e misurabile, come, per esempio, nella combustione di grandi quantità di plastica (una fabbrica, un capannone, un deposito).
Le soluzioni.
Le soluzioni da percorrere consistono da una parte nella eliminazione o nella sostituzione dei materiali plastici, dall’altra nella facilitazione del percorso di smaltimento a norma di legge, in forme rispettose della salute e dell’ambiente. Purtroppo, non possono essere trascurate le attività di prevenzione, controllo e sanzione.
La eliminazione (o la sostituzione) dei materiali plastici deve prendere le mosse da una ricognizione meticolosa dei materiali potenzialmente combustibili utilizzati nella serricoltura e di quelli biodegradabili disponibili per la sostituzione dei quelli in plastica.
La ricognizione servirà anche per tracciare il cammino seguito da ogni materiale verso lo smaltimento legale e quello illegale, mettendo in evidenza ogni tipo di criticità e di difficoltà che i serricoltori incontrano, se organizzative, se connesse ai costi elevati, per poterle efficacemente rimuovere.
In relazione ai fili e ai gancetti, lo spago di canapa, o materiali simili, i gancetti in materiali decomponibili potrebbero essere avviati al compostaggio; ma, al momento, oltre a una questione di costi (sarebbero circa 4 volte in più rispetto al filo in polipropilene), occorre migliorare la resistenza meccanica allo sforzo e alla durata dello sforzo. Resterebbero comunque fuori numerosi altri accessori e componenti in plastica di uso corrente e di smaltimento complesso o costoso, dalle stuoie ai vassoi in polistirolo, ai contenitori per il fuori suolo, ed altri ancora.
In relazione al monitoraggio, al controllo e alle sanzioni più soggetti si sono impegnati (Prefettura, Provincia, Sindaci ecc.), con attività benemerite e tuttavia per lo più occasionali e con intenti spesso sanzionatori, dunque senza ottenere risultati risolutivi.
I cittadini colpiti dal fenomeno possono segnalare al NOSE, una Applicazione (APP NOSE – Network for OdourSEnsitivity, Sistema di segnalazione emissioni odorigene) appositamente realizzata da CNR-ISAC ed ARPA Sicilia per consentire ai cittadini di segnalare, in maniera efficace e puntuale ma anonima, gli odori ed i miasmi avvertiti. La segnalazione è semplice da effettuare, viene correntemente utilizzata dagli abitanti delle zone industriali anche siciliane e costituisce una banca dati che si è rivelata estremamente importante.
Le segnalazioni possono essere inviate anche a istituzioni preposte ai controlli ambientali, dall’ARPA alla Polizia Provinciale; anemometri semplici, ma affidabili, possono essere montati sulle terrazze delle abitazioni per una indicazione di massima della provenienza dei fumi (la combustione è notturna e non sempre il luogo della combustione è visibile).
Voli e riprese con droni a inizio campagna, con scopo di mappatura, possono essere ripetuti al mattino dopo l’evento criminoso per individuare l’area di combustione, spesso chiusa fra le serre e visibile solo dall’alto.
Conclusioni e prospettive
La gravità del fenomeno della combustione delle materie plastiche e dei contenitori dei fitofarmaci non può ammettere dubbi sulla necessità di intervenire su più livelli. Il livello sanzionatorio è quello che maggiormente addolora, ma di fronte ai danni alla salute l’ignoranza non può essere scusata e nemmeno possono essere accettate le ragioni economiche basate sui costi dello smaltimento.
Il coinvolgimento delle Istituzioni, di studiosi, tecnici, professionisti, dei serricoltori di buona volontà potrà servire proprio a diminuire nel tempo il numero degli interventi sanzionatori, facilitando lo studio e la messa a punto di soluzioni realmente praticabili. Ordini professionali, Associazioni e Consorzi, affiancati ove possibile dalle Istituzioni locali, potrebbero assumersi il compito di stabilire un contatto con la Ricerca al fine di affrontare e risolvere le questioni connesse agli aspetti tecnologici connessi alla eliminazione, alla sostituzione, allo smaltimento dei materiali plastici.
Né, di fronte alla gravità della questione, si può escludere la costituzione nella fascia trasformata di uno o più Comitati spontanei di cittadini per la difesa della salute, che possa impegnarsi nella prevenzione e nella individuazione di chi con tremenda irresponsabilità mette in atto comportamenti così fortemente lesivi della salute e dell’ambiente, pur affiancando attivamente chi si occupa di individuare le soluzioni tecnologiche al problema.
Negli anni passati, e ormai da parecchi decenni, in agricoltura i residui di plastica a fine vita hanno trovato la facile – e riprovevole – via del fuoco e delle conseguenti fumarole estive, come conseguenza di un’agricoltura equiparabile a un mondo senza guida e incapace di trovare essa stessa soluzioni rispettose dell’ambiente e della salute non solo degli “altri”, ma anche di chi si macchia di questo reato e dei suoi stessi familiari.
Giuseppe Re – dott.pippore@gmail.com Dott. Agronomo
Giampaolo Schillaci – giampaolo.schillaci@gmail.com – Dott. S. Agrarie – prof. UNICT